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SALDO IMU 2024: TUTTO QUELLO CHE DEVI SAPERE

L’IMU, acronimo di Imposta Municipale Propria, è una tassa che i proprietari di immobili devono pagare per contribuire alle finanze locali. Questa imposta si applica agli immobili non esenti e viene versata in due rate: l’acconto a giugno e il saldo, che per il 2024 deve essere pagato entro il 16 dicembre.

Sono tenuti al pagamento dell’IMU tutti i proprietari di immobili (abitazioni, terreni e fabbricati) che non rientrano nei casi di esenzione. Anche chi detiene un diritto reale sull’immobile, come l’usufrutto, è obbligato al versamento. L’imposta si applica a:

 

  • Seconda casa e immobili a disposizione
  • Immobili commerciali e industriali
  • Terreni agricoli non esenti
  • Fabbricati rurali strumentali
  • Aree fabbricabili

L’IMU non è dovuta per l’abitazione principale, a meno che non si tratti di immobili di lusso appartenenti alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

Esistono diversi casi in cui l’IMU non è dovuta, tra cui:

Abitazione principale non di lusso: inclusi gli immobili nelle categorie A2, A3, A4, A5, A6 e A7 e relative pertinenze.

Immobili occupati abusivamente: a condizione che sia stata presentata una denuncia all’Autorità giudiziaria e comunicata al Comune.

Terreni agricoli: posseduti da coltivatori diretti o ubicati in specifiche aree montane o di collina.

Immobili di enti non commerciali: destinati esclusivamente ad attività non commerciali, culturali o di culto.

 

Ravvedimento Operoso

Il mancato pagamento del saldo IMU entro il 16 dicembre comporta sanzioni e interessi. Tuttavia, è possibile regolarizzare la propria posizione con il ravvedimento operoso, che consente di ridurre le sanzioni in base al ritardo. Le sanzioni variano dal 1% al 5% dell’importo non versato, in aggiunta agli interessi calcolati su base giornaliera.

 

Il saldo IMU è un appuntamento importante per tutti i proprietari di immobili. Se hai dubbi o necessiti di assistenza, rivolgiti al nostro studio per avere un supporto professionale e puntuale.

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AUTOFATTURA DENUNCIA: L’IVA DUPLICATA DEVE ESSERE RIMBORSATA

L’autofattura denuncia è una procedura che interviene quando un cessionario o committente non riceve una fattura per l’acquisto di un bene o servizio entro quattro mesi dall’effettuazione dell’operazione. Secondo l’articolo 6, comma 8, del D.Lgs. 417/1997, in questa situazione il cessionario è obbligato a emettere un’autofattura per regolarizzare la propria posizione fiscale. Tale procedura, oltre a informare l’Agenzia delle Entrate della mancata fatturazione da parte del cedente, comporta il versamento dell’IVA dovuta sull’operazione, generando un potenziale doppio versamento dell’imposta.

 

L’autofattura denuncia nasce come strumento di tutela del contribuente che, non avendo ricevuto la fattura dal cedente o prestatore, deve comunque regolarizzare la propria posizione fiscale. Tuttavia, questo meccanismo prevede che l’IVA venga versata due volte: la prima al momento del pagamento al cedente o prestatore (che include l’IVA nell’importo totale del bene o servizio) e la seconda al momento dell’emissione dell’autofattura.

 

Questa duplicazione del versamento genera un problema evidente: il cessionario o committente finisce per pagare due volte l’imposta sullo stesso bene o servizio. Il meccanismo contraddice uno dei principi fondamentali dell’IVA, ossia la neutralità dell’imposta.

La sentenza si basa sul principio di neutralità dell’IVA, che costituisce un pilastro della direttiva IVA 2006/112/CE. Questo principio prevede che l’IVA non rappresenti un costo per gli operatori economici coinvolti nei vari passaggi di produzione e distribuzione, ma che gravi esclusivamente sul consumatore finale. Di conseguenza, l’applicazione di un doppio prelievo d’imposta per la stessa operazione contravviene a questo principio e legittima il rimborso dell’imposta versata due volte.

 

La sentenza della Corte di Giustizia della Liguria ha confermato che il contribuente, che ha corrisposto l’IVA sia al cedente/prestatore che all’erario tramite l’autofattura, ha diritto al rimborso dell’imposta duplicata.

 

La Procedura di Rimborso: Articolo 30-ter del DPR 633/1972

Per ottenere il rimborso dell’IVA duplicata, il contribuente può fare ricorso all’articolo 30-ter del DPR 633/1972, che disciplina le modalità per richiedere il rimborso dell’imposta non dovuta. Questa norma prevede che il contribuente possa presentare un’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate, spiegando le circostanze che hanno portato al doppio versamento.

 

L’Agenzia ha il compito di esaminare la richiesta e, se riscontra che effettivamente si è verificata una duplicazione dell’imposta, deve procedere al rimborso. La decisione della Corte della Liguria rafforza il diritto del contribuente a non subire ingiusti prelievi fiscali.

 

Le Conseguenze del Doppio Versamento e le Sanzioni

Il mancato rispetto degli obblighi di autofatturazione, o il ritardo nell’emissione dell’autofattura, comporta conseguenze piuttosto gravi per il contribuente. La normativa prevede infatti una sanzione pari al 100% dell’imposta non versata, rendendo particolarmente onerosa qualsiasi omissione.

 

Di contro, la tempestiva emissione dell’autofattura tutela il cessionario o committente da eventuali sanzioni, ma genera la questione del doppio versamento dell’IVA, che può essere recuperato tramite la procedura di rimborso.

È fondamentale che i contribuenti siano consapevoli dei propri diritti e dei meccanismi di rimborso previsti dalla normativa per evitare di subire oneri fiscali ingiusti, lo Studio è a tua competa disposizione per ogni chiarimento.

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FATTURA SEMPLIFICATA PER FORFETTARI: NOVITÀ DAL 1° GENNAIO 2025

A partire dal 1° gennaio 2025, i contribuenti forfettari potranno beneficiare di un’importante novità normativa in materia di fatturazione semplificata. Con il recepimento della direttiva UE 2020/285, verrà eliminato il tetto massimo di 400 euro per l’emissione delle fatture semplificate. Ciò significa che i titolari di partita IVA forfettaria potranno emettere fatture semplificate anche per operazioni di importo superiore, agevolando così i loro adempimenti fiscali.

 

La fattura semplificata è una versione ridotta e più agile della fattura ordinaria, che permette di ridurre gli obblighi documentali per operazioni di basso valore. Essa include solo alcuni elementi essenziali rispetto alla fattura ordinaria, rendendola più facile da emettere e gestire, sia per i piccoli imprenditori che per i professionisti.

 

La fattura semplificata attualmente si applica per operazioni di importo complessivo non superiore a 400 euro, limite che era stato innalzato rispetto ai precedenti 100 euro nel 2019. Tuttavia, con la nuova normativa in vigore dal 1° gennaio 2025, sarà possibile utilizzare questo tipo di fatturazione senza limiti di importo.

 

Anche se semplificata, la fattura deve includere alcune informazioni minime, come previsto dall’articolo 21-bis del Decreto IVA. Gli elementi essenziali che devono essere riportati sono:

 

Data di emissione della fattura.

Numero progressivo che identifica la fattura in modo univoco.

Dati del cedente o prestatore (ditta, nome, ragione sociale, partita IVA o codice fiscale).

Dati del cessionario o committente (ditta, nome, ragione sociale, partita IVA o codice fiscale).

Descrizione dei beni o servizi oggetto dell’operazione.

Ammontare del corrispettivo complessivo e dell’imposta inclusa, o elementi che permettano di calcolarla.

Riferimenti a fatture rettificate nel caso si tratti di una fattura di rettifica.

Questi elementi sono sufficienti a identificare l’operazione e a rispettare gli obblighi fiscali, senza dover includere ulteriori dettagli richiesti per le fatture ordinarie.

 

Le novità per il 2025

Il principale cambiamento che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2025 riguarda la rimozione del limite massimo di 400 euro per l’emissione delle fatture semplificate. Questo significa che le partite IVA che operano in regime forfettario potranno emettere fatture semplificate anche per importi superiori a questa soglia, semplificando notevolmente gli adempimenti fiscali.

 

Questa novità è parte del processo di recepimento della direttiva 2020/285 dell’Unione Europea, che mira a uniformare le norme in materia di IVA tra gli Stati membri e a semplificare gli obblighi amministrativi per i piccoli contribuenti, come le partite IVA minori.

 

Vantaggi per i Forfettari

L’estensione delle modalità di fatturazione semplificata rappresenta un grande vantaggio per i forfettari. Vediamo quali sono i principali benefici di questa novità:

 

Riduzione degli obblighi amministrativi: la fattura semplificata richiede meno dettagli rispetto alla fattura ordinaria, riducendo così il carico burocratico per i contribuenti forfettari. Ciò è particolarmente utile per chi emette fatture in modo frequente e per importi superiori ai 400 euro.

 

Maggiore flessibilità: con la possibilità di emettere fatture semplificate anche per importi elevati, i forfettari possono gestire in modo più agile le operazioni di vendita o prestazione di servizi, senza dover affrontare la complessità di una fattura ordinaria.

 

Conformità alle norme comunitarie: l’allineamento delle regole italiane alle normative europee contribuisce a una maggiore uniformità e facilita la gestione fiscale per chi opera anche con clienti esteri all’interno dell’Unione Europea.

 

Facilità di gestione delle rettifiche: le fatture semplificate consentono una gestione più rapida delle operazioni di rettifica, agevolando la correzione di eventuali errori o modifiche successive alle transazioni iniziali.

 

Per i contribuenti forfettari, sarà importante adeguarsi a queste novità normative in tempo utile. Dal 1° gennaio 2025, sarà possibile emettere fatture semplificate anche per importi superiori ai 400 euro, e questo comporterà la necessità di aggiornare le procedure interne di fatturazione e i software gestionali.

 

La rimozione del limite massimo di 400 euro per l’emissione di fatture semplificate rappresenta una svolta positiva per i contribuenti forfettari, che dal 1° gennaio 2025 potranno semplificare ulteriormente i loro adempimenti fiscali. Questa novità normativa, frutto del recepimento delle direttive europee in materia di IVA, permette di alleggerire il carico burocratico e offre maggiore flessibilità nella gestione delle operazioni fiscali. È importante che le partite IVA si preparino a questo cambiamento, aggiornando i propri strumenti e le proprie procedure, per poter sfruttare al meglio i benefici di questa nuova disposizione.

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PATENTE A CREDITI EDILIZIA: QUALI SONO LE SANZIONI?

La patente a crediti nel settore dell’edilizia è un nuovo sistema introdotto per garantire la qualificazione di imprese e lavoratori autonomi operanti nei cantieri temporanei o mobili, come previsto dal D.Lgs. 81/2008 e dal DM 132/2024. Il sistema assegna un punteggio iniziale di 30 crediti, che può aumentare o diminuire in base all’attività svolta. Questo punteggio deve rimanere sopra i 15 crediti per poter continuare a lavorare. In caso di perdita di crediti, l’impresa o il lavoratore possono incorrere in diverse sanzioni.

 

Come Funziona la Patente a Crediti?

Ogni soggetto che opera in un cantiere, purché in possesso dei requisiti minimi, inizia con 30 crediti. Questo punteggio può essere incrementato grazie a comportamenti virtuosi, come l’adozione di pratiche di sicurezza, oppure decurtato per violazioni delle norme di sicurezza o mancanza di requisiti. Se i crediti scendono sotto 15 punti, il soggetto non può più operare nei cantieri.

 

Sanzioni per Operare con Meno di 15 Crediti o Senza Patente

Le imprese o i lavoratori che continuano a operare con meno di 15 crediti o senza patente possono subire diverse sanzioni. Ecco le principali:

 

Sanzione amministrativa: pari al 10% del valore dei lavori. Tuttavia, se questo importo è inferiore a 6.000 euro, viene applicata una sanzione minima di 6.000 euro.

Esclusione dai lavori pubblici: se si opera con una patente sospesa o revocata, l’impresa viene esclusa dalla partecipazione ai lavori pubblici per un periodo di 6 mesi.

Blocco dei lavori: l’ispettore del lavoro può disporre il blocco immediato dei lavori. Questo può comportare ulteriori conseguenze legali, previste dall’articolo 650 del Codice Penale, per l’inosservanza degli ordini delle autorità.

 

Non solo l’impresa o il lavoratore possono essere sanzionati, ma anche il committente o il responsabile dei lavori hanno l’obbligo di verificare che le imprese e i lavoratori abbiano la patente edilizia e un numero di crediti superiore a 15. Se non rispettano questo obbligo, sono soggetti a:

 

Sanzione amministrativa pecuniaria: Da 711,92 a 2.562,91 euro.

Obbligo di verifica nei subappalti: anche in caso di subappalto, il committente deve verificare la validità della patente edilizia dell’impresa subappaltatrice.

Chi applica le sanzioni?

Il regime sanzionatorio è gestito da diverse autorità, a seconda delle violazioni riscontrate:

 

Ispettorato Nazionale del Lavoro: gioca un ruolo chiave nell’imposizione delle sanzioni attraverso controlli amministrativi e ispettivi sui cantieri. Gli ispettori possono verificare il rispetto dei requisiti della patente e il punteggio di crediti delle imprese e dei lavoratori.

Ministero delle Infrastrutture e ANAC: gestiscono l’esclusione dai lavori pubblici, basandosi sui verbali ispettivi segnalati dall’Ispettorato del Lavoro.

La patente a crediti nel settore dell’edilizia è un sistema fondamentale per garantire la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, promuovendo al contempo la sicurezza e la professionalità nei cantieri. Tuttavia, il mancato rispetto delle soglie minime di crediti può comportare sanzioni gravi, come multe, l’esclusione dai lavori pubblici e il blocco dei cantieri. Per questo motivo, è essenziale che imprese e lavoratori mantengano il proprio punteggio di crediti sopra i 15 punti e che i committenti verifichino la validità della patente edilizia, anche in caso di subappalti.

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CONTROLLI SULLA CIRCOLAZIONE DEL DENARO CONTANTE: LA NORMATIVA NAZIONALE SI ALLINEA A QUELLA EUROPEA

Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 4 settembre 2024, ha approvato uno schema di decreto legislativo che adegua la normativa italiana al Regolamento (UE) 2018/1672, riguardante i controlli sul denaro contante in entrata e in uscita dall’Unione Europea. Questo intervento si inserisce in un contesto in cui l’Italia aveva già evidenziato un disallineamento tra le proprie norme e quelle europee, come sottolineato dalla Circolare n. 12/2024 delle Dogane, pubblicata il 7 maggio 2024.

L’obiettivo principale del nuovo decreto è rafforzare i controlli, prevenire l’evasione fiscale e contrastare il riciclaggio di denaro, allineando le norme italiane agli standard europei. Di seguito, vediamo i principali interventi legislativi che modificano la disciplina italiana in materia di movimentazione del denaro contante.

 

  1. Mercato dell’oro

Un’importante novità introdotta dal decreto riguarda il mercato dell’oro, con modifiche alle definizioni di “oro da investimento” e di “materiale d’oro”. Queste modifiche ampliano le fattispecie delle operazioni in oro che devono essere dichiarate all’UIF (Unità di Informazione Finanziaria). Ora, anche l’oro destinato a lavorazione futura è soggetto a obblighi di dichiarazione.

 

Un altro cambiamento riguarda la soglia per la dichiarazione, che viene abbassata da 12.500 euro a 10.000 euro. Inoltre, se più operazioni di valore inferiore a 10.000 euro sono effettuate con la stessa controparte nel corso di un mese solare, e l’importo complessivo raggiunge o supera tale soglia, queste devono comunque essere dichiarate. È inoltre previsto che singole operazioni pari o superiori a 2.500 euro con la stessa controparte devono essere segnalate, anche se complessivamente non superano i 10.000 euro.

 

Queste disposizioni mirano a incrementare la trasparenza nelle transazioni con l’oro, settore spesso associato a operazioni ad alto rischio di riciclaggio di denaro.

 

  1. Normativa in materia valutaria

Il decreto aggiorna e perfeziona le definizioni relative al denaro contante, includendo concetti come “valuta”, “strumenti negoziabili al portatore” e “carte prepagate”. Questo chiarimento è importante per rendere più preciso l’ambito di applicazione dei controlli.

Il denaro contante accompagnato, ovvero quello trasportato fisicamente oltre i confini nazionali, è soggetto a obbligo dichiarativo quando l’importo è pari o superiore a 10.000 euro. Una novità rilevante introdotta dal decreto è che l’obbligo dichiarativo non si considera soddisfatto se le informazioni fornite sono inesatte o incomplete, o se il denaro non è reso disponibile per il controllo da parte dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM).

 

Il decreto rafforza i poteri di controllo delle Dogane e della Guardia di Finanza (GDF), consentendo loro di trattenere il denaro per un massimo di 30 giorni, prorogabili fino a 90 in casi particolari, se vi sono dubbi sulla provenienza o l’uso del denaro. Queste misure sono mirate a rafforzare i controlli e prevenire l’uso del denaro contante per attività illecite.

 

Inoltre, il decreto prevede che le informazioni acquisite durante i controlli siano utilizzabili a fini fiscali. Ciò significa che le autorità potranno utilizzare i dati raccolti per verificare la correttezza delle dichiarazioni fiscali e per indagare su eventuali attività illegali legate al denaro contante.

Un aspetto cruciale del decreto riguarda lo scambio di informazioni tra l’ADM, la GDF e le omologhe autorità degli altri Stati membri dell’UE. Lo scambio avviene tramite il Sistema di Informazioni Doganali (SID) e coinvolge anche la Commissione Europea, l’EPPO (European Public Prosecutor’s Office) e, nel caso della Guardia di Finanza, EUROPOL.

 

Questo scambio di dati è fondamentale per prevenire e contrastare il riciclaggio di denaro e altre attività illegali che potrebbero minacciare gli interessi finanziari dell’Unione Europea.

 

  1. Violazione degli obblighi dichiarativi

Il decreto interviene anche sulle sanzioni relative alla violazione degli obblighi dichiarativi in materia di trasferimento di denaro contante. In caso di omessa dichiarazione, la normativa prevede sanzioni pecuniarie proporzionate alla somma non dichiarata.

 

La novità principale consiste nell’aumento delle soglie percentuali per il pagamento delle sanzioni ridotte. Ad esempio, chi non dichiara somme eccedenti i 10.000 euro ma inferiori a 40.000 euro dovrà pagare il 30% della somma non dichiarata, rispetto al precedente 15%.

 

Il decreto introduce inoltre un trattamento differenziato per i casi di omessa dichiarazione e per quelli di dichiarazione incompleta o inesatta. Le sanzioni sono più severe per chi omette del tutto la dichiarazione, mentre per le dichiarazioni inesatte è previsto un regime sanzionatorio meno gravoso.

 

Il decreto approvato dal Consiglio dei Ministri rappresenta un passo importante verso l’allineamento della normativa italiana a quella europea in materia di controlli sulla circolazione del denaro contante. Le modifiche introdotte mirano a rafforzare la trasparenza, migliorare la cooperazione internazionale e prevenire attività illegali come il riciclaggio di denaro e l’evasione fiscale.

 

Queste nuove misure non solo garantiscono una maggiore armonizzazione con il quadro normativo europeo, ma rappresentano anche un passo avanti nella lotta alle attività illecite, contribuendo alla sicurezza economica dell’Italia e dell’Unione Europea.

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CRISI D’IMPRESA E CONCORDATO SEMPLIFICATO: LE NOVITÀ DEL 2024

Il 4 settembre 2024, il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva un decreto legislativo con modifiche e integrazioni al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, originariamente introdotto con il decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14.

Tra le varie disposizioni, l’articolo 6 del nuovo decreto apporta importanti novità alla disciplina del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Queste modifiche mirano a rendere più chiara e accessibile la procedura di liquidazione patrimoniale per le imprese in difficoltà.

Il concordato semplificato è uno strumento che consente agli imprenditori in difficoltà di avviare una procedura di liquidazione patrimoniale semplificata. Questa procedura può essere adottata solo se la composizione negoziata della crisi non è andata a buon fine, ma le trattative si sono svolte in buona fede e correttezza.

Il nuovo decreto introduce alcune novità al concordato semplificato, eliminando il riferimento all’esito “non positivo” della composizione negoziata. Ora, la procedura può essere avviata anche in casi in cui la soluzione negoziale non risulti praticabile, ma le trattative sono state condotte secondo le regole.

 

Suddivisione dei creditori

Un’altra modifica riguarda la suddivisione dei creditori in classi, introdotta nella proposta di concordato. Con la nuova normativa, anche i creditori privilegiati, i cui crediti non vengono soddisfatti integralmente, possono essere trattati come chirografari per la parte residua del credito. Questo significa che la parte di credito non coperta dai beni posti in garanzia può essere trattata come un credito ordinario, senza prelazione.

 

La procedura di accesso

Per accedere al concordato semplificato, l’imprenditore deve presentare al tribunale una proposta di cessione dei beni insieme a un piano di liquidazione. Quest’ultimo deve essere corredato da tutti i documenti fiscali e contributivi richiesti dall’articolo 39 del CCII. La proposta può anche includere una suddivisione dei creditori in classi, qualora applicabile. Un’altra importante novità introdotta dal decreto è la possibilità di presentare una domanda prenotativa, prevista dall’articolo 40 del CCII. Questo consente all’imprenditore di avviare la procedura con riserva di presentazione della proposta e del piano di liquidazione entro un termine prestabilito, che di solito è di sessanta giorni.

 

Omologazione del concordato

Una volta presentata la proposta di concordato, l’imprenditore deve richiederne l’omologazione tramite un ricorso, che viene comunicato al pubblico ministero e pubblicato nel registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito.

 

Nuovi criteri per l’omologazione

Il nuovo decreto interviene anche sull’articolo 25-sexies, riformulando i criteri di verifica da parte del tribunale. In particolare, il giudice dovrà verificare che la proposta di concordato sia stata presentata in modo corretto e che le classi di creditori siano state formate correttamente, garantendo equità nella ripartizione dei crediti. Se necessario, il tribunale può assegnare un termine massimo di quindici giorni per integrare o modificare il piano e presentare nuovi documenti, permettendo così una maggiore flessibilità nella gestione della procedura.

 

Modifiche al linguaggio normativo

Il decreto ha anche semplificato il linguaggio normativo, eliminando il riferimento al deposito del ricorso “in cancelleria”. Questo termine è stato sostituito dall’obbligo di deposito telematico, allineando la normativa alle moderne modalità di gestione dei documenti legali.

 

Liquidazione del patrimonio

Un altro aspetto fondamentale del concordato semplificato riguarda la liquidazione del patrimonio dell’imprenditore in crisi. L’articolo 25-septies del CCII stabilisce che il tribunale nomini un liquidatore giudiziale al momento dell’omologazione del concordato. Questo liquidatore avrà il compito di gestire la vendita dei beni dell’impresa per soddisfare, per quanto possibile, i creditori.

 

Ruolo del liquidatore giudiziale

Il liquidatore nominato dal tribunale deve operare garantendo trasparenza e correttezza nel processo di liquidazione. Il suo compito è quello di vendere i beni dell’impresa e distribuire il ricavato ai creditori secondo quanto previsto dal piano di concordato. Questa fase è particolarmente delicata, poiché deve garantire che i creditori vengano soddisfatti almeno nella stessa misura in cui lo sarebbero in caso di liquidazione forzata. Tuttavia, il concordato semplificato offre una maggiore flessibilità, consentendo di gestire il patrimonio dell’impresa in modo più efficiente e rapido rispetto alle procedure concorsuali tradizionali.

 

Le modifiche al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza approvate nel settembre 2024 mirano a rendere più accessibile e flessibile la gestione delle crisi aziendali, soprattutto attraverso l’uso del concordato semplificato. Questa procedura, pensata per situazioni in cui la composizione negoziata non è praticabile, consente agli imprenditori di liquidare il patrimonio aziendale in modo più rapido ed efficace, offrendo allo stesso tempo maggiori tutele per i creditori.

 

Le novità introdotte dal decreto legislativo migliorano la chiarezza normativa e semplificano l’accesso a questa importante misura di gestione della crisi. L’obiettivo è favorire una risoluzione più rapida delle crisi aziendali, riducendo i costi e i tempi della procedura, e offrendo agli imprenditori in difficoltà una possibilità concreta di risolvere la propria situazione debitoria.

 

Per maggiori informazioni puoi contattare il nostro Studio.

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CONFERIMENTI IN NATURA IN SRL: BASE IMPONIBILE IVA, IRES E IRAP

I conferimenti in natura in una società a responsabilità limitata (SRL) consistono nell’apporto di beni diversi dal denaro da parte di un socio. Questo tipo di conferimento è comune quando il socio desidera contribuire alla società con beni materiali, come immobili o macchinari, piuttosto che con denaro contante. Tuttavia, è importante comprendere il trattamento fiscale di tali operazioni, che coinvolge l’IVA, l’IRES e l’IRAP.

 

Trattamento fiscale dei conferimenti in natura: chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

Con l’interpello n. 171/2024, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito il trattamento fiscale dei conferimenti in natura, fornendo indicazioni precise su come devono essere gestiti ai fini dell’IVA, dell’IRES e dell’IRAP.

 

  1. Base Imponibile IVA

L’Agenzia delle Entrate ha confermato che i conferimenti in natura sono soggetti all’IVA, poiché vengono considerati operazioni assimilabili a cessioni a titolo oneroso. Ciò significa che l’apporto di un bene da parte di un socio a una società è trattato, dal punto di vista fiscale, come una vendita di beni. La base imponibile su cui applicare l’IVA deve essere determinata considerando l’aumento di capitale della società conferitaria. Questo importo deve includere sia il valore del sovrapprezzo pagato dai soci, sia eventuali somme erogate a titolo di conguaglio. In pratica, l’IVA si applica sull’intero valore del conferimento, non solo sull’importo dell’aumento di capitale.

 

  1. IRES (Imposta sul Reddito delle Società)

Ai fini delle imposte sui redditi, e in particolare dell’IRES, il corrispettivo del conferimento in natura non è legato all’aumento di capitale, ma piuttosto al valore normale dei beni conferiti. Questo valore normale rappresenta il prezzo che il bene avrebbe in un mercato libero e concorrenziale, e non deve necessariamente corrispondere all’importo dell’aumento di capitale. L’articolo 9, comma 2 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) specifica che il valore normale dei beni conferiti deve essere utilizzato per determinare la base imponibile su cui calcolare l’IRES.

 

  1. IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive)

Anche per quanto riguarda l’IRAP, il valore del conferimento è considerato il valore normale del bene conferito. Questo significa che l’importo su cui si calcola l’IRAP è basato sul valore di mercato del bene conferito, e non sull’importo dell’aumento di capitale registrato dalla società. La logica è la stessa applicata all’IRES: l’imposta si applica sul valore effettivo dei beni apportati, indipendentemente dall’importo ufficialmente riconosciuto come aumento di capitale.

 

I conferimenti in natura rappresentano una forma importante di apporto di capitale in una SRL, ma comportano una serie di obblighi fiscali che devono essere attentamente gestiti. L’IVA si applica sull’intero valore del conferimento, mentre per l’IRES e l’IRAP si considera il valore normale del bene conferito. È essenziale per le società e i loro consulenti fiscali comprendere e rispettare queste regole per evitare sanzioni e garantire una corretta gestione fiscale. Le recenti indicazioni dell’Agenzia delle Entrate, espresse nell’interpello n. 171/2024, forniscono una guida chiara e dettagliata per l’applicazione di queste normative.

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NUOVA SABATINI CAPITALIZZAZIONE: AL VIA LE DOMANDE DAL 1° OTTOBRE 2024

Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha recentemente introdotto la “Nuova Sabatini Capitalizzazione,” una misura volta a sostenere la capitalizzazione delle micro, piccole e medie imprese (PMI) che intendono realizzare programmi di investimento.

Con la Circolare del 22 luglio 2024, il MIMIT ha stabilito le regole e le modalità per la presentazione delle domande a partire dal 1° ottobre 2024.

 

Finalità dell’Intervento

La Nuova Sabatini Capitalizzazione mira a incentivare le PMI a rafforzare il proprio capitale sociale, supportandole nella realizzazione di investimenti strategici. L’iniziativa prevede la concessione di un contributo in conto impianti, il cui ammontare è pari al valore degli interessi calcolati, convenzionalmente, su un finanziamento della durata di cinque anni.

E’ un sostegno particolarmente rilevante in un contesto economico in cui le imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, possono incontrare difficoltà nell’accesso a risorse finanziarie adeguate per sostenere la crescita.

Caratteristiche del Contributo

Il contributo è strutturato in funzione dell’investimento che l’impresa intende realizzare, con un tasso di interesse agevolato che varia a seconda delle dimensioni dell’impresa:

5% per le micro e piccole imprese.

3,575% per le medie imprese.

Questa differenziazione mira a garantire che anche le imprese più piccole possano beneficiare di condizioni particolarmente vantaggiose, favorendo così una crescita equilibrata all’interno del tessuto economico nazionale.

 

Per accedere al contributo, le imprese devono rispettare alcune condizioni fondamentali, tra cui l’aumento del capitale sociale, che deve essere finalizzato alla realizzazione di un programma di investimento.

L’aumento deve essere formalizzato e documentato secondo le modalità specificate nella circolare, e costituisce un requisito indispensabile per la concessione del beneficio.

Le domande per la concessione del contributo devono essere presentate a partire dal 1° ottobre 2024, seguendo gli schemi e le istruzioni forniti dal MIMIT. La documentazione richiesta include:

 

Il modulo di domanda compilato.

  • La dichiarazione di aumento del capitale sociale.
  • Eventuali ulteriori documenti che comprovino la realizzazione e l’ammissibilità del programma di investimento.
  • Le domande devono essere presentate entro i termini stabiliti, e l’erogazione del contributo avverrà in conformità con le tempistiche definite dal regolamento. È importante notare che l’erogazione del contributo in conto impianti sarà effettuata in funzione del valore degli interessi calcolati sul finanziamento convenzionale, come specificato sopra.

La Nuova Sabatini Capitalizzazione offre diversi vantaggi alle imprese che decidono di partecipare:

Accesso agevolato a finanziamenti: le imprese possono accedere a risorse finanziarie con condizioni vantaggiose, riducendo il costo del capitale e migliorando la sostenibilità economica dei propri progetti di investimento.

Rafforzamento patrimoniale: l’aumento di capitale sociale rafforza la struttura finanziaria delle imprese, migliorandone la solidità e la capacità di affrontare eventuali difficoltà economiche.

Sostegno alla crescita: grazie al contributo, le imprese possono realizzare investimenti strategici in settori chiave, favorendo l’innovazione e la competitività.

 

La Nuova Sabatini Capitalizzazione rappresenta un’opportunità significativa per le PMI italiane, offrendo un sostegno concreto per la realizzazione di investimenti e il rafforzamento del capitale sociale. Le imprese interessate devono prepararsi adeguatamente per presentare la domanda a partire dal 1° ottobre 2024, assicurandosi di rispettare tutti i requisiti previsti dal regolamento.

 

Questo intervento è parte di un più ampio piano di sostegno alle imprese, volto a promuovere la crescita economica e la competitività del sistema produttivo italiano. Le PMI che intendono crescere e innovare possono trovare in questa misura un valido strumento per realizzare i propri obiettivi e contribuire allo sviluppo dell’economia nazionale.

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ROTTAMAZIONE QUATER: V RATA ENTRO IL 23 SETTEMBRE

La Rottamazione Quater, una misura che offre ai contribuenti la possibilità di sanare i propri debiti fiscali con agevolazioni, è entrata in una fase cruciale. Con il recente Decreto Correttivo, approvato il 26 luglio 2024 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 agosto, sono stati apportati alcuni cambiamenti importanti, in particolare riguardo alla scadenza della V rata.

 

Originariamente fissata per il 31 luglio, la scadenza della V rata è stata prorogata al 15 settembre 2024. Tuttavia, a causa di vari differimenti e considerazioni legali, come i giorni festivi del 15, 21 e 22 settembre, i pagamenti effettuati entro lunedì 23 settembre 2024 saranno considerati validi. Questo significa che i contribuenti avranno un po’ più di tempo per adempiere ai propri obblighi senza incorrere in sanzioni.

L’Agenzia della Riscossione ha emesso un comunicato stampa per riepilogare le regole e le scadenze relative alla Rottamazione Quater. È importante notare che, nonostante le proroghe delle scadenze, non sono previste nuove aperture dei termini per aderire alla Rottamazione Quater né estensioni del suo ambito di applicazione al 2023, come confermato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) nel comunicato stampa n. 96 del 5 agosto 2024.

Un altro aspetto cruciale da tenere a mente riguarda l’ultima rata della Rottamazione Quater per l’anno 2024. Questa dovrà essere saldata entro il 30 novembre 2024. I contribuenti devono quindi assicurarsi di rispettare questa scadenza per non compromettere i benefici derivanti dall’adesione alla rottamazione.

 

La Rottamazione Quater prevede la possibilità di saldare i debiti fiscali in modo agevolato, eliminando sanzioni e interessi di mora, e consentendo di pagare solo l’importo capitale dovuto. Le rate previste sono suddivise in scadenze distribuite su più anni, e la puntualità nei pagamenti è essenziale per mantenere i benefici concessi.

 

Le principali regole da ricordare includono:

 

Scadenze delle Rate: Le rate devono essere pagate entro le date specificate nel piano di pagamento. Eventuali ritardi possono comportare la decadenza dai benefici.

Sanzioni: La Rottamazione Quater consente di ridurre l’importo dovuto eliminando le sanzioni e gli interessi di mora, ma è fondamentale rispettare le scadenze per non perdere questi vantaggi.

Estensione del Piano di Pagamento: Non sono previste estensioni oltre il 2024, e i debiti relativi agli anni successivi non sono inclusi in questa rottamazione.

Considerazioni Finali

La Rottamazione Quater rappresenta un’opportunità preziosa per i contribuenti che desiderano regolarizzare la propria posizione fiscale. Tuttavia, è cruciale mantenere la disciplina nei pagamenti e rispettare le scadenze, in particolare quella della V rata, ora prorogata al 23 settembre 2024. L’Agenzia della Riscossione e il MEF hanno chiarito che non ci saranno ulteriori proroghe o aperture dei termini, quindi è importante pianificare con attenzione.

 

Per chi non ha ancora completato i pagamenti, questo è il momento di organizzarsi e sfruttare al meglio la proroga concessa, assicurandosi di non perdere i benefici della rottamazione. In caso di dubbi o necessità di assistenza, è consigliabile rivolgersi a un consulente fiscale o contattare direttamente l’Agenzia della Riscossione.

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INDEBITA DETRAZIONE IVA: NORMATIVA E SANZIONI

L’indebita detrazione dell’IVA rappresenta un’area critica della normativa fiscale italiana, spesso fonte di errori e sanzioni. Questo articolo esplora le principali disposizioni normative e le sanzioni previste per chi incorre in tali irregolarità, con un focus sul recente aggiornamento legislativo.

Cos’è l’indebita detrazione IVA?

L’indebita detrazione IVA si verifica quando un contribuente detrae un importo dell’IVA superiore a quello effettivamente dovuto o applica l’IVA a operazioni esenti, non imponibili o non soggette. Questa detrazione indebita può avvenire per errore del cedente o prestatore, che applica l’IVA in misura superiore o su operazioni che non dovrebbero essere assoggettate a IVA.

Normativa di riferimento

Il Decreto Sanzioni ha riscritto l’art. 6, comma 6 del D.Lgs. n. 471/1997, aggiornato ulteriormente dall’art. 2 del D.Lgs. Sanzioni n. 87/2024. La normativa stabilisce che il cessionario o committente che detrae illegittimamente l’imposta è soggetto a una sanzione amministrativa pari al 70% dell’ammontare indebitamente detratto.

Applicazione dell’IVA superiore a quella effettiva

Quando l’IVA è applicata in misura superiore a quella prevista per l’operazione, o su operazioni esenti, non imponibili o non soggette, il cessionario o committente è soggetto a una sanzione amministrativa compresa tra 250 euro e 10.000 euro. Questa sanzione è prevista anche se l’errore è stato commesso dal cedente o prestatore.

Nonostante le sanzioni, il diritto del cessionario o committente alla detrazione non viene completamente annullato. Secondo gli articoli 19 e seguenti del DPR 633/1972, è possibile detrarre l’IVA effettivamente dovuta in base alla natura e alle caratteristiche dell’operazione posta in essere. Questo significa che, nelle ipotesi di errore, il contribuente può comunque detrarre l’IVA corretta, ma deve affrontare le sanzioni per l’errore commesso.

ESEMPI DI INDIFFERIBILITÀ E URGENZA

Esistono casi in cui l’errata applicazione dell’IVA può essere considerata indifferibile e urgente, giustificando la deroga alla sospensione delle comunicazioni. Ad esempio:

Pericolo per la riscossione: situazioni in cui la mancata spedizione della comunicazione pregiudica il rispetto dei termini di prescrizione e decadenza, rischiando di compromettere il recupero delle somme dovute.

Notizie di reato: l’invio di comunicazioni che prevedono la notifica di un reato ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale.

Procedure concorsuali: comunicazioni o atti destinati a soggetti sottoposti a procedure concorsuali per garantire la tempestiva insinuazione nel passivo.

Per evitare sanzioni legate all’indebita detrazione dell’IVA, è fondamentale adottare alcune buone pratiche come affidarsi a consulenti fiscali esperti per una gestione accurata e conforme delle detrazioni IVA.

L’indebita detrazione dell’IVA può comportare sanzioni significative per le imprese, ma una gestione accurata e informata può prevenire molti problemi. La normativa attuale, aggiornata dal Decreto Sanzioni n. 87/2024, prevede sanzioni severe ma anche possibilità di rettifica per i contribuenti che detraevano l’IVA in modo errato. Mantenere una corretta gestione delle fatture e delle operazioni imponibili è essenziale per evitare sanzioni e garantire la conformità fiscale.

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