Lo strumento tramite cui un contribuente può regolarizzare il versamento di un tributo o di un acconto d’imposta non effettuato è il cosiddetto ravvedimento.
Per sistemare ogni cosa in questo tipo di evenienze è sufficiente pagare l’imposta, con anche degli interessi ed una sanzione. Il ravvedimento operoso consente quindi di risolvere spontaneamente i problemi aperti da un debito con il fisco.
Se, però, ci si trova di fronte al problema di aver versato una somma non dovuta, se si fa quindi un errore con il ravvedimento operoso, secondo l’Agenzia delle Entrate, tanto che l’imposta pagata con il ravvedimento fosse dovuta o meno, non sarebbe possibile chiedere un rimborso, stando all’evidenza del fatto che il ravvedimento non sarebbe altro che il riconoscimento di una violazione.
Entrano qui in gioco, però, la Commissione Tributaria ed anche la Corte di Cassazione che riconoscendo come al contribuente sia possibile riconoscere sempre e in ogni momento qualsiasi tipo di errore, allora anche il ravvedimento operoso, proprio come qualsiasi altra dichiarazione, è modificabile e ritrattabile.
Se dunque un qualsiasi contribuente si trovi a versare per un solo caso di errore una imposta che si scoprisse poi effettivamente non dovuta, questi sarà secondo la legge totalmente in grado di chiederne e ottenerne, nei dovuti tempi, il rimborso. Ogni errore formale, infatti, non può creare un pregiudizio nei confronti dell’esercizio di un qualsiasi controllo, che è sempre lecito poter fare e rivedere.